Psicologia Foglie: Una riflessione sul senso della morte nei sogni

LInk alla Rivista L’Anima fa Arte – Foglie: il nostro SCOPO è morire il più spesso possibile 

SOLDATI

Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie

G. Ungaretti – 1918

Non ricordo quando, dove e perché, ovvero a quale scopo, imparai a memoria questa poesia. Ero certamente in età di scuola dell’obbligo e, considerando che sono un soggetto piuttosto refrattario alla lettura delle poesie, c’è da chiedersi come mai psiche ha impresso questo ricordo in se medesima. Questa poesia deve avere per me un significato che si  accorda in modo sostanziale con il mio stato interno.

Non vi nascondo che probabilmente la imparai intenzionalmente, data la sua brevità, per potermi illudere di sapiente intellettualismo, quasi a scimmiottare i nonni e gli zii che, durante i pranzi domenicali, o meglio al momento dei dolci secchi e del vin santo, recitavano poesie classiche a memoria. Mentre scrivo le immagini tornano e fanno capolino, come la luce del primo pomeriggio che attraversava le finestre e i cristalli del grande lampadario del salone da pranzo nel quale, tenorilmente, gli aedi familiari declamavano quei 4 massimo 8 versi (peraltro gli unici del loro repertorio) che impiegavano per far coda di pavone. Inspiravano febbrilmente aria, bulimici d’ossigeno e d’azoto, anche oltre la loro capacità polmonare. “Ed ecco verso noi venir…”  l’incipit di zio Peppe (al secolo Giuseppe) sui versi del traghettatore dantesco Caronte. Ribolliva, tra risa e invidie fraterne,  l’eccitazione del resto dei commensali che iniziavano una gara a chi per primo riuscisse a far eco alla recitazione di quei versi fino al “…non isperate mai veder lo cielo!”, orgasmico finale di un orgia familiare. Io incontrai Invidia per la prima volta in quella giornata in cui mio cugino, di ben due anni più giovane di me, attempato seienne, riuscì a unirsi al coro mentre io ne rimasi escluso per ignoranza. Ahimè non avevo imparato quei versi per la mia ostinazione a non con-fondermi con il sangue del mio sangue. La stessa invidia che spinse Atena a distruggere il lavoro di Aracne, eccelsa tessitrice, fu poi il motore che mi spinse a usare i versi di Ungaretti come riscatto rispetto a quel cugino primogenito di zio Peppe a sua volta primogenito e figlio prediletto di mio Nonno.

Ma questa poetica prosa familiare, certamente degna di un meccanicismo freudiano che ricerca nel trauma un motore, poco si addice a una lettura archetipica di quei versi e poco ci dice sulle vere intenzioni di questo scritto.

Una premessa è dunque d’obbligo! (scusate ma mi sono fatto prendere dalla voglia di declamare e mi venga concesso un punto esclamativo di troppo). Questi versi si impressero in me in funzione dell’elemento qui mancate: il titolo.

Proviamo a scegliere un titolo. Potremmo pensare a qualcosa del tipo “Madre Natura” oppure “Padre Natura”. Ma ancora… pensate… soffermatevi sui versi mettendo un titolo come “La Neve”. Cosa evocano quei versi in questo caso?… Oppure cosa evocherebbero se pensassimo a “Colori” come titolo, oppure “Sangue”… oppure “Novembre”…

Insomma sembra chiaro che, come la colonna sonora di un film ne cambia in modo sostanziale il senso, così avviene con il titolo in una poesia, specie se questa è ermetica come quella che rispecchia l’anima di chi scrive. Quindi sveliamo il titolo di questi 4 versi e immergiamoci nella loro lettura:

SOLDATI

Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie

G. Ungaretti – 1918

Ungaretti scrive nel periodo della guerra e, con una semplicità disarmante, ci restituisce la caducità, la morte. Ma soprattutto ci restituisce la morte come evento gradevole, plausibile, naturale, atteso. Le foglie devono morire, è nella loro natura. Non possiamo attenderci che rimangano verdi in eterno e saremmo certamente crucciati all’idea di una scomparsa delle stagioni. Est modus in Rebus affermava Orazio, cui fa seguito (Satire I, 1, vv. 106-107) sunt certi denique finesQuos ultra citraque nequit consistere rectum «v’è una misura nelle cose; vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto».

In conclusione le foglie si comportano secondo necessità, quindi ci indicano la via, quella giusta e necessaria, ossia il succedersi delle stagioni, ossia la morte. Qui ci riferiamo alla morte come telos (scopo) immaginale che ci richiama a una continua metamorfosi che consenta che l’albero, simbolo per eccellenza del percorso individuativo (rispetto a cui rinviamo all’articolo pubblicato nel n.6/2014 di questa rivista), continui a vivere. Le foglie caduche sono non figlie, bensì genitori attenti dell’albero. Lo nutrono raccogliendo i raggi solari prima, lo nutrono ridiventando humus e quindi morendo poi.

Con “morte immaginale” intendiamo dunque la trasformazione. Morte, in immagine, come nei sogni, è sempre un evento fausto di trasformazione psichica e di energie in metamorfosi.

Parimenti alle foglie gli immaginari, le parti della nostra psiche, gli dei che animano i nostri agiti, nascono e muoiono in funzione di un incedere del processo di individuazione: l’Albero. Ma non confondiamoci tale processo non è dell’Io o del Sé, entità della cui esistenza dubitiamo fortemente, ma dell’Anima Mundi.

Ora vi chiederete quale macabro telos sia dall’Anima Mundi perseguito se prevede la tragica morte dei soldati. Eppure noi riteniamo che la guerra, reale o immaginale che sia, costituisca una modalità in una certa qual misura congrua, la riteniamo un immaginario come gli altri, Ares o Marte che sia. Ma, certi di poter essere fraintesi, rinviamo a Hillman e al suo “terribile amore per la guerra”[1] per spiegare cosa vogliamo intendere.

Dunque rivolgiamoci alle foglie e osserviamole, osserviamone la forma, la funzione, il cambio di colore e il destino una volta giunte a terra, da Gea. Osserviamo però il tutto in trasparenza, ossia come processo trasformativo che avviene nell’Anima Mundi e che psiche emula.

Le foglie sono principalmente verdi, poi, prima di cadere, cambiano colore passando dal giallo al rosso. Allora vediamo il senso immaginale del verde e poi del cambio di colore e per fare questo ci rivolgeremo alla biologia e all’alchimia. Successivamente faremo un incursione nei Tarocchi per analizzare la carta che si connette a questi versi… no, mi dispiace, non si tratta del Tarocco della “Morte”, fausto evento che abbiamo invocato, ma  del tarocco che ci parla della caduta che la “Torre” preannuncia. Infine prenderemo tra le mani quell’Humus che è il risultato della decomposizione delle foglie che diventano terra a nutrire, cannibalescamente, l’albero che la ha generate. La biologia e la fotosintesi ci suggeriscono che le foglie trasformano, con la fotosintesi, l’anidride carbonica in carboidrati. Il verde ha questa funzione come un immaginario la ha per la psiche. Ma il tutto è stagionale. Ogni immaginario è nutriente perché caduco. Se non muore mai siamo nell’inflazione.

Prendiamo poi a prestito gli scritti alchemici. Nel cambio del colore l’alchimia vedeva, o meglio proiettava, un passaggio da una fase alchemica ad un’altra e quindi una metamorfosi dei metalli. Ora chi legge questa rivista è un pubblico avvezzo a linguaggi simili e non spiegare cosa sia l’alchimia è atto di rispetto per Voi lettori. Lungi da me dubitare delle Vostre conoscenze, lungi da me ritenere che non sappiate cosa sia l’alchimia, ritenere che non sappiate che si tratta della chimica primordiale il cui nome deriva da al-kimiya che rimanda al termine Khem ossia la terra nera dell’Egitto sulle sponde del Nilo. Non ho alcun dubbio sul fatto che sappiate che gli alchimisti avevano come obiettivo il raggiungimento del lapis ossia della pietra filosofale e che tale pietra consiste nel trovare il proprio telos, il proprio scopo e, in conclusione la via per il proprio processo individuativo. Sapete certamente anche che l’alchimia spiegava i passaggi per trasformare i metalli in oro, come non Vi sarà sfuggito che tale meta non è stata mai raggiunta nel concretismo. Più di ogni altra cosa sapete che l’oro non generato nel concretismo era un oro generato psichicamente a livello immaginale e quindi intrapsichico. Voi sapete tutto questo quindi non starò qui a tediarvi con spiegazioni che risulterebbero certamente ridondanti.

Useremo quindi le spiegazioni alchemiche per esplicitare il senso del cambio di colore delle foglie prima della caduta. Tale significato sarà utile indicazione per psiche qualora sognassimo foglie appassire e cadere, oppure immaginassimo che ciò avvenga oppure avessimo un’esperienza di sincronicità che ci metta in contatto con le foglie che cambiano colore e cadano, magari sulle nostre spalle mentre camminiamo lungo i viali alberati della nostra città. In tutti i casi avremmo un’istantanea della nostra fase di trasformazione intrapsichica.

Il punto è che le foglie prendono tre colori di base nel loro ciclo di vita, verde, giallo e rosso. Ma solo uno di questi colori è conosciuto ai più in ambito alchemico ossia il rosso della Rubedo. Non Vi ricorderò, sempre per il rispetto che ho di Voi, che i colori di base in alchimia sono il nero della Nigredo, il bianco dell’Albedo e il Rosso per l’appunto. Colori- Fasi che specificano un graduale passaggio da fasi psichiche di indifferenziazione a fasi di maggiore differenziazione e ritiro delle proiezioni.

Ma le Foglie sono prima verdi, e poi gialle. Anche questi colori sono considerati dagli alchimisti nelle meno note fasi chiamate Viriditas (per il verde, verdezza) e Citrinitas (per il giallo, giallitudine). Trattasi di fasi intermedie che proveremo a spiegare brevemente. Leggendo il libro di Brocchi[2] prendiamo a prestito la sua metafora su una Nigredo che rimanda all’albero bruciato, una Viriditas che costituisce la comparsa dei primi germogli, una bianchezza della fioritura dell’Albedo, un ingiallimento della secchezza estiva e la rossezza dei colori autunnali.  In sintesi i colori ci indicano stagioni della vita di ogni singolo immaginario e il circolare percorso di morte e rinascita.

Il Verde costituisce quindi l’energia di rinascita dopo la fase di prima differenziazione della nera Nigredo in cui psiche è piombata e affranta. La Nigredo è la putrefactio del seme posto sotto terra mentre la Viriditas è il suo germoglio. Trattasi  della rinascita che precede l’Albedo.

Fuor di alchimia, quando un paziente, o meglio un suo immaginario, viene a morire, quando viene sotterrato perché è giunto il tempo che lasci spazio a altri immaginari, siamo nella Nigredo. Qui un paziente è melanconico, vive nella certezza che non ha colto il vero senso e che i suoi punti fermi costituissero solo l’illusoria soddisfazione del bisogno di autorealizzazione e controllo. Abbandonando un immaginario si da l’opportunità che ne nasca uno nuovo e questo evento è molto simile a quello che la psicologia ha chiamato insight. L’Eureka! dell’idea nuova, della nuova lente attraverso cui osservare il mondo, la felicità nell’intravedere una nuova via. La Viriditas è un concepimento del nuovo immaginario, è l’intravisione dell’opportunità che genera un lutto o una perdita. La Viriditas è l’oggetto che possiamo prendere se rendiamo libera la mano lasciando cadere l’oggetto che teneva stretto in precedenza, perché solo liberando la mano dall’oggetto che tiene stretto la rendiamo disponibile a prendere qualcosa di nuovo.

Poi c’è il giallo e qui prendiamo a prestito gli scritti di Hillman che meglio di altri ci restituisce il senso della “giallitudine” come trasformazione.

“Il giallo segnala un particolare tipo di cambiamento, di solito verso il peggio: foglie che appassiscono, pagine che invecchiano, biancheria rimasta troppo a lungo nei cassetti, denti e unghie dei vecchi, pelle che si sfoglia, macchie indelebili di cibo e sperma. il procedere del tempo si manifesta come ingiallimento. gli alchimisti lo chiamavano putrefazione e corruzione…la codardia è gialla così come la gelosia… la stella gialla appuntata agli ebrei… L’idea che il giallo serpeggia ovunque nel campo dell’arte… potrebbe fungere da rappresentazione cromatica della follia”[3] .

“”Pertanto, quando le cose puzzano, quando ingialliscono… si è messo in moto un processo importante e tale processo è sulfureo ingialliscono”[4].

Hillman con queste righe ci sottolinea come la puzza costituisca la manifestazione di un processo che vede la transizione dall’intrapsichico all’extrapsichico. Il giallo è il momento in cui, dopo la verde nascita del germoglio, ossia l’insight, l’idea e, dopo la sua fioritura avvenuta nell’Albedo, tale immaginario-germoglio inizi a connettersi con la materia con il Fuori.

“Insomma: durante la nigredo, dominano il dolore e l’ignoranza (l’indifferenziato), soffriamo senza l’aiuto della conoscenza. Durante l’albedo, la sofferenza passa, perché ha ricevuto la grazia  della riflessione e della comprensione. Il giallo introduce il dolore della conoscenza. L’anima soffre la propria comprensione”[5].

Dopo il verde del concepimento e il giallo della corruzione del fiore, l’idea o l’immaginario emergente che si connette al concretismo, giunge infine il rosso. Fabricius ci restituisce in modo molto chiaro il valore della Rubedo come moltiplicazione e proiezione[6]. Nel rosso, come quello delle foglie prima della caduta, si intuisce che le caratteristiche attribuite agli oggetti appartengono a noi stessi, si intuisce il meccanismo della proiezione e ci si accorge che è un processo reiterato all’infinito. Avviene quindi in sequenza anche la Multiplicatio ossia l’intuire che la proiezione è avvenuta più volte su di un medesimo oggetto e più volte su tanti oggetti diversi. Poi, dopo questa moltiplicazione, avviene il ritiro della proiezione e si avverte che l’immaginario prende lo status di lapis, di telos. In questa fase si avverte con chiarezza che il concretismo è fatto a immagine e somiglianza delle nostre immagini interne. Quindi comprendiamo improvvisamente di non essere un effetto dovuto a cause esterne, ma di essere noi stessi a produrre le cause per poter divenirne l’effetto. In barba al meccanicismo.

Nel rosso abbiamo già attuato e attualizzato l’immaginario, lo abbiamo connesso al concretismo e reso visibile e attivo dentro e fuori. Questo ci spinge a ritenerlo il re degli immaginari psichici, il re tra i nostri bisogni-motivazioni-condotte. Poi  intuiamo che si tratta di una proiezione, intuiamo la molteplicità delle proiezioni. A questo punto o lo abbandoniamo, o lasciamo la presa o rinunciamo all’illusione di raggiungere Dio salendo la nostra babele psichica, o molliamo la presa lasciando libera la mano, oppure ci cristallizziamo e cadiamo nell’inflazione. Invece è meglio che la foglia cada una volta divenuta rossa. Cada per tornare a terra annerirsi, tornare fango, tornare humus, terra nera, Al- kimia e riniziare il ciclo.

Questo è il racconto del percorso sapienziale, del percorso di vita di un immaginario. Un racconto implicito in Ungaretti. Quindi se le foglie ci vengono a trovare in immagine sappiamo che siamo in questo ciclo che serve all’albero per progredire nel suo percorso verso il cielo. Mettiamo a fuoco il colore della foglia ma non dimentichiamo che la “caduta” va transitata e per comprendere la portata di questa caduta chiediamo a Widmann di mostrarcene il senso con la “Torre” dei tarocchi.

La Torre (I Tarocchi di Marsiglia)

Per brevità non faremo una disamina puntuale del tarocco della “Morte”, sappiamo certo che, dai tarocchi allo sciamanismo, la morte o lo scheletro sono il segno di una trasformazione e di un rinnovamento che appartiene più propriamente alla Nigredo. Siamo invece più avidi dei significati relativi al Tarocco della “Torre”. Widmann non sbaglia nell’incipiare con il ricordo del World Trade Center. Quell’evento distante, ma non abbastanza, ci consente di collegare un’emozione all’immaginario che la caduta e la Torre richiamano. Il crollo delle civiltà, la messa in discussione della cultura e dello status quo. Durante il crollo io ero a Milano nel periodo universitario e si è impressa nella memoria l’immagine della seconda torre di quel “nine-eleven”. Vacillava il terreno sotto i miei piedi, mi chiedevo se fosse l’inizio di una guerra, ragionavo su quali parti della nostra fulgida società occidentali fossero fallate. Ero vivo e, guardando la diretta del secondo aereo che si schiantava sulla torre, felicemente distante da New York ma, con tutto il rispetto che è dovuto alle vittime, eravamo tutti in caduta libera da quelle torri.
Widmann ci richiama le torri di Babele, di Raperonzolo  e altre torri, ricordandoci come la torre costituisca una difesa, un luogo protetto in cui l’Io può con-fondersi con Dio. La torre per l’autore rimanda alla Hybris ossia alla saccenza e all’arroganza[7]. Ma quando sincronicamente la Torre appare nel consulto degli arcani maggiori ciò che preannuncia è proprio la caduta dall’arroganza, la caduta da quel luogo protetto in cui siamo con-fusi perché troppo vicini al Sole della Ragione e, come figli di Icaro, precipitiamo a ricongiungerci con la terra. Gea, la Madre Terra, ci ricorda della nostra caducità, come “sugli alberi le foglie” in autunno.

Ecco che le foglie cambiano colore preannunciando una caduta che acquista un senso nella ciclicità degli immaginari e nell’eterno ritorno di nietzschiana memoria. Se le foglie giungono in sogno, se le immaginiamo, se ci cadono sulla testa da un albero, se tornano improvvisamente alla memoria, insomma se per sincronicità ci vengono a trovare le foglie, questo rappresenta l’annunciazione del cambiamento che i colori rendono visibile. Tale cambiamento avviene transitando la verdezza del concepimento dell’idea o dell’insight che emerge come germoglio dalla landa bruciata della Nigredo e della nerezza. Poi percorre la corruzione del giallo che riconnette lo spirito dell’idea alla materia fisica in una coniunctio tra aquila e serpente così ben spiegata da Jung nei seminari sullo Zarathustra[8]; in questa fase l’immaginario, Il pensiero o l’aquila, si confronta con la materia, il serpente inanellato intorno al suo collo, e avviene il gemellaggio tra Hurqualia e la Terra. Poi giunge la rossezza in cui avviene il ritiro delle proiezioni e si comprende la natura intrapsichica degli immaginari. Qui si rischia di comprendere che anche dio è un immaginario e si rischia di confondersi con dio, con l’archetipo cadendo nell’inflazione. Ma la caduta dalla “Torre” ci riporta a terra realmente per tornare nella nerezza e attendere che l’immaginario diventi nutrimento per l’albero che genererà germogli nuovi. Ci piace in tal senso più l’immagine della Torre dei Tarocchi Disumani dell’artista Mezzanotte che riporta la caduta e i colori giallo e rosso nelle maschere che cadono come soldati dagli alberi.

FOTO

Sarebbe ardito dire che le guerre e i soldati sono come foglie e devono morire per la rinascita della specie che va intesa qui come albero, quindi non lo diremo. Teniamo presente però che, come ci ricorda il Buddha:

Quando qualcuno muore qui, nasce da qualche altra parte.
Quando qualcuno nasce qui, muore da qualche altra parte.

Erri De Luca Riflette ampliamente sul sisma che lo scorso 24 Agosto ha interessato la mia terra e suggerisce che “La frase di guerra di cent’anni fa del soldato Ungaretti Giuseppe racconta il sentimento di stare attaccati all’albero della vita con un solo piccolo punto di congiunzione”. Qui noi vogliamo all’opposto impopolarmente affermare che anche il terremoto, il terrore e l’atterrimento che comporta, ci riconducono a Gea, alla Madre terra che ci spinge al rinnovamento attraverso la morte. Come le foglie dobbiamo cadere quindi, non teniamoci attaccati all’albero altrimenti non lo nutriamo. Ritengo che questo debba avvenire tanto nel concretismo quanto in immagine e, considerando che sto riferendomi alla mia terra e alla mia gente da reatino quale sono, auguro una buona “morte” a ognuno.

Vorrei chiudere però dando voce alle piante, vorrei sapere che direbbero loro dal loro punto di vista. Quindi se gli alberi fossero poeti avremmo avuto la loro poesia

Foglie

Si stava come

Al fronte

Sui campi

i Soldati

[1] Cfr. Hillman, J.,: Un terribile amore per la guerra. Adelphi, Milano, 2005.

[2] Cfr. Brocchi, S., 2006: Riflessioni sulla Grande Opera. Sebastiano Brocchi.

[3] Hillman, J., 2010: Psicologia alchemica. Adelphi, Milano, 2013, pp. 223-224.

[4] Ibidem, 226.

[5] Ibidem, 233.

[6] Cfr. Fabricius, J., 1989: Alchimia. Edizioni Mediterranee, Roma,1997.

[7] Widmann, C., 2010: Gli arcani della vita. Magi, Roma, pp. 311-327

[8] Jung, C. G., 1988: Seminari, Lo Zarathustra di Nietzsche, 1934-39. Bollati Boringhieri, Torino, 2011.

Dott. Luca Urbano Blasetti

Psicologo Psicoterapeuta

Email

luca.urbanoblasetti@gmail.com

Telefono

Mobile: 329 100 58 24